Intossicazione da monossido di carbonio, parla l’esperto

Intervista al Dr. Roberto Ferani, responsabile del servizio di medicina iperbarica di Zingonia.

11/01/2022

Si sente parlare di medicina iperbarica soprattutto nel periodo invernale, in particolare nei casi di intossicazione da monossido di carbonio. Abbiamo chiesto al dottor Roberto Ferani, responsabile del servizio di medicina iperbarica a Zingonia come si svolge tutto l’iter.

“In effetti in questo periodo si registra un costante incremento di interventi in emergenza di ossigeno terapia a causa di patologie provocate dall’intossicazione da monossido di carbonio. È una situazione che si ripete ogni anno. In passato venivano utilizzati gli scalda-acqua che funzionavano a gas e caldaie non sempre controllate: oggi gli scalda-acqua non ci sono praticamente più e le caldaie di nuova generazione sono molto più sicure, quindi, i casi di intossicazione sono provocati soprattutto dal malfunzionamento di stufe, camini, bracieri e motori a scoppio. I sintomi con cui si manifestano queste intossicazioni sono cefalea, capogiri, nausea, vomito, dolore al petto fino alla perdita di conoscenza, al coma e, nei casi più gravi, alla morte. Il monossido di carbonio è un gas inodore e quindi un paziente non si rende conto che si sta intossicando. Spesso, purtroppo, l’intossicazione coinvolge l’intero nucleo familiare e non soltanto un individuo”.

Poi partono i soccorsi. Che cosa avviene?
In questi casi viene allertato il mezzo d’emergenza quando il paziente perde conoscenza. Avviene poi il trasferimento in ospedale: qui si sottopone il paziente a indagini come l’elettrocardiogramma, la radiografia al torace e l’esame ematico per verificare la presenza di carbossiemoglobina. In base alla concentrazione che viene rilevata il paziente può essere trattato in un centro di medicina iperbarica: solitamente con una concentrazione superiore al 25%, anche senza sintomatologia o in concentrazione inferiore al 25% con la presenza di sintomi, il paziente viene sottoposto a ossigeno terapia iperbarica.

Come avviene il trattamento?
Appena giunto da noi il paziente entra in camera iperbarica insieme all’anestesista. Qui viene somministrato ossigeno ad alta concentrazione e ad alta pressione. L’ossigeno sotto pressione si diluisce in una concentrazione molto alta nel circolo interstiziale. In altre parole, nei siti recettoriali dell’emoglobina del globulo rosso, anziché attaccarsi l’ossigeno, si attacca il monossido di carbonio. Questo ha una capacità 200 volte superiore all’ossigeno. Una volta occupati questi spazi, l’ossigeno non può entrare correttamente in circolo. L’unico rimedio per risolvere velocemente la situazione è la somministrazione di ossigeno ad alta concentrazione: ciò avviene in camera iperbarica.

Cosa si rischia se non si interviene in tempo?
Noi dobbiamo liberare il più velocemente possibile il nostro organismo da questo gas nocivo, in particolar modo dal cervello. A livello cerebrale, infatti, si rischia il coma. Ma la sofferenza tocca anche altri organi come, ad esempio, il cuore: si può verificare un’ischemia miocardica con successivo infarto del miocardio. Il dimezzamento del monossido di carbonio con la respirazione in maschera al 100% di ossigeno avviene in 90 minuti contro i 320 minuti di respirazione in aria in ambiente. Noi sappiamo che a una determinata pressione e con un’elevata concentrazione di ossigeno al 100% si ha un dimezzamento della presenza di monossido di carbonio ogni 23 minuti, quindi, più velocemente agiamo, più riduciamo il rischio di danni gravi.

Qualche consiglio pratico per evitare di correre rischi?
Due azioni molto semplici all’apparenza, ma che possono dimostrarsi fondamentali: fare revisionare puntualmente la caldaia, e, per chi ne è in possesso, controllare con attenzione il tiraggio del camino. Le auto non devono essere lasciate accese in garage chiuso. Se si sospetta la presenza di monossido di carbonio in ambiente chiuso, aprire immediatamente le finestre e abbandonare l’ambiente

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